Paolo Albanese
Quando si faceva la seta coi bachi.
Esempio di archeologia industriale, la Filanda Motta di Campocroce di Mogliano Veneto si erge ancora intatta nel suo splendore dal lontano inizio XX° sec. il 1900.
Restaurata nel tempo soprattutto l'alta ciminiera di mattoni rossi, come di mattoni rossi è tutto il complesso della filanda, che pendeva leggermente da un lato come la Torre di Pisa destando sempre una certa preoccupazione, che facesse prima o poi la fine del Campanile di S. Marco a Venezia, ora si innalza diritta rivestita di una patina cementizia che le ha tolto il bel colore rosso, ma almeno le ha dato maggior sicurtà. Nel locale caldaie,dove entra il corpo della ciminiera, ora infatti c'è lo studio di un fotografo, che può lavorare dormendo sonni tranquilli.
Infatti Quasi tutta l'area della Filanda è stata adibita a zona artigianale e al suo interno vi sono molti studi di design, grafica, fotografia e altri ancora. Lo studio del fotografo citato prima è alquanto singolare. Si nota infatti l'antica geometria del locale caldaie e la rotonda protuberanza del camino-ciminiera che nell'insieme danno un tocco affascinante a questo ambiente lavorativo.
La sede centrale, dalle lunghe e strette vetrate, viene utilizzata dal Comune per manifestazioni culturali di vario tipo sia nell'ampio spazio all'aperto, sia all'interno dove un tempo le operaie lavoravano i bachi da seta, che da noi venivano anche chiamati "cavalieri".
Queste donne sia d'estate che d'inverno avevano continuamente le mani immerse in bacinelle d'acqua tiepida, procedimento usato per togliere il sottilissimo filo di seta dal bozzolo del bruco prima che si trasformi in farfalla.
Di tutta la piantagione di gelsi, che fornivano le foglie di cui si cibavano i bachi, ne sono rimasti solo due esemplari che potrete ammirare nelle foto, seppur nella loro malinconica bellezza autunnale.
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